Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

venerdì 16 dicembre 2011

Allo storico mercato di Sandaga (Dakar) una commemorazione per i due senegalesi uccisi a Firenze. Organizzata da un'immigrata italia in Senegal

Dakar-clandò
la rubrica di Chiara Barison

Allo storico mercato di Sandaga (Dakar) una commemorazione per i due senegalesi uccisi a Firenze. 

Organizzata da un'immigrata italia in Senegal


DAKAR. “Se solo potessi sapere cosa vuol dire essere un migrante. Se solo potessi conoscere il dolore degli sguardi, che a volte, o troppo spesso, feriscono come pugnali. Se solo sapessi quanto è pesante l'assenza dell'affetto familiare o anche solo quella dello sguardo della persona amata, di un figlio che cresce, solo, aspettando un padre, un fratello partiti troppo lontano.
Se solo sapessi che dietro ogni migrante c'è una persona in tutta la sua umanità, con tutte le sue speranze e i suoi sogni; se solo sapessi che questo stesso uomo voleva forse solo farsi conoscere e conoscere, imparare e che forse, sempre questo stesso uomo, l'amava il tuo paese, sì, l'Italia. Ci sono molti migranti che l'Italia la amano più di te, che gli immigrati non li sopporti e che dell'Italia non conosci nulla e forse, di questa tua Italia di cui ti fai vanto, non te ne frega nulla. Italiano. Se solo potessi essere al mio posto, immigrata italiana in Senegal e sapere quante volte dei senegalesi mi hanno strappato un sorriso dopo le lacrime; tenuto la mano quando la lontananza da mia figlia diventava insopportabile. Se solo potessi sapere, caro razzista, quante volte sono entrata in una casa senegalese e accolta con rispetto; se solo sapessi quanti migranti senegalesi di ritorno dal mio paese, l'Italia, ho incontrato felici di ritrovarmi qui, immigrata italiana, aver scelto il loro paese come destinazione, paese che per loro era diventato pure il mio. Se solo sapessi come questi stessi migranti parlano del tuo paese, l'Italia, caro razzista, di come i loro occhi brillano raccontando della sua cultura, del suo popolo, della sua bellezza. Ma no, tu tutto questo non lo vedi, caro razzista, tu che gli occhi li hai offuscati dall'odio e dalla rabbia e che dell'Italia non conosci nulla. A tutti i miei fratelli e sorelle senegalesi chiedo scusa. Vi prego di perdonare. Di perdonarci. Di perdonarli. Al vostro paese, il Senegal, che è anche il mio paese, devo la realizzazione dei miei sogni e vi affido il mio paese, l'Italia, che è anche il vostro, nella speranza che assieme, con la forza dell'umanità, potremo cambiare questo mondo”. Questo il pensiero stampato e diffuso lo scorso 14 dicembre a Sandaga, mercato storico di Dakar, Senegal. L'eco dei brutali omicidi di Mor Diop e Modou Samb era rimbalzato veloce di giornale in giornale, di casa in casa, di bocca a bocca. Un atto di razzismo feroce che si è portato dietro tristezza e rabbia anche tra gli italiani emigrati in Senegal. Mi ci sono voluti un paio di minuti per realizzare che quello che avevo letto distratta sul mio computer era invece una notizia di cronaca nera reale. Ancora un episodio di razzismo, l'ennesimo che si registrava in Italia. Sono tornata veloce a casa e ho scritto il mio dolore in queste poche righe. I senegalesi dovevano sapere che non erano soli, che il dolore di queste morti assurde erano condivise anche con noi, italiani emigrati. Non sono servite tante riflessioni, solo una penna ed una fotocopiatrice. Nel cyber vicino a casa il gestore prende una copia della lettera contenente le scuse pubblche rivolte alle famiglie delle vittime. Mi fa un gesto d'approvazione con il capo e mi fa pagare la metà di quello che avrei dovuto pagare. “Questo è il mio contributo ad un'azione che approvo. Fai bene a diffondere questo messaggio di pace”, mi dice sorridendo e prende una copia della lettera per attaccarla alla porta d'entrata. Subito, i passanti, curiosi, leggono e commentano. Cheikh, un professore di quasi quarant'anni mi dice: “Quello che è successo in Italia è grave, è solo l'ennesimo episodio di un odio razziale crescente che si sta diffondendo pericolosamente in tutta Europa”. La gente annuisce. “Grazie per questo pensiero. Le persone devono essere coscienti che ogni generalizzazione è sbagliata e che non sono tutti razzisti”. Il tempo di inviare qualche messaggio agli italiani di Dakar e corro veloce verso il centro città. Solo il cuore e l'onestà della condivisione. Arrivo a Sandaga, il più grande mercato della capitale. No. Non l'ho scelto a caso. Il giorno precedente, in un mercato, due ragazzi senegalesi sono stati brutalmente assassinati. Oggi, in un mercato senegalese, sarebbe stato lanciato un messaggio di pace. Arrivo, le fotocopie sotto il braccio e tanta speranza. Subito in tanti mi attorniano per sapere cosa io voglia fare. Mi siedo comincio a discutere con i commercianti e con i passanti. In poco tempo un folto gruppo di persone dibatte su tematiche quali il razzismo, la migrazione, l'integrazione. Nessuna tensione, nessun parola di insulto. Eppure sono italiana il giorno dopo una tragedia consumatasi proprio nel mio pasese. Una grande lezione di umanità e rispetto. Nessuno generalizza, nessuno offende gli italiani tutti. Ogni persona ha il buon senso di giudicare l'atto folle e razzista di un singolo. Avremmo fatto lo stesso, in Italia? O saremmo forse andati a fare spedizioni punitive o linciaggi di massa come l'episodio del campo rom di Torino ha dimostrato nella sua immane tragicità? “Quello che è successo fa parte della vita” mi dice a bassa voce Thierno, studente in medicina “dobbiamo accettare il destino. Non è colpa nostra o vostra ma colpa di un sistema politico che ha seminato odio”. Il fatalismo senegalese accompagna molti dei commenti alla vicenda. Per tanti, doveva accadere. Quello che stupisce è l'assoluta mancanza di rabbia. La gente è sorpresa di vedermi lì, in mezzo a loro, chiedere scusa. Mi incoraggiano e mi abbracciano. Ho le lacrime agli occhi. In poco tempo arrivano altri italiani, amici che, umilmente, consegnano le fotocopie ai passanti, chiedendo scusa, ad ognuno di loro. E così fino a raggiungere il numero di duencento. Un numero simbolico per arrivare al cuore delle famiglie delle vittime, per chiedere scusa di un atto che gli italiani denunciano fortemente. Arrivano i giornalisti, incuriositi dalla piccola manifestazione spontanea. Si discute anche con loro. Sorridono. Questo gesto era assolutamente inaspettato. Piccolo ma dalla grande umanità. Giovani ed anziani discutono con noi e ci dicono tutti: “Vi perdoniamo”. “Sono stato immigrato in Italia per più di dieci anni” mi dice Assane “e ciò che è accaduto non mi stupisce per niente. E' il prodotto di una campagna d'odio seminata da troppo tempo. Quando dei politici si permettono di trattare un nero da “bingo bongo”, ciò autorizza la gente comune a fare altrettanto. La persona è umiliata pubblicamente e pubblicamente disumanizzata. Se vai nei piccoli paesi della provincia la gente teme il diverso perché questo diverso non lo conosce, conosce solo le dicerie diffuse dai mezzi di comunicazione. E questo è grave. L'esistenza di partiti dichiaratamente razzisti è grave. Senghor, primo presidente del Senegal indipendente, si era battuto affiché nessun partito fosse fondato su rivendiazioni etniche, figuriamoci su basi d'odio. E siamo in Africa. Se andate a chiedere ad uno dei tanti italiani che vota Lega se conosce il programma politico del partito che votano, non vi saprà rispondere, quello che votano è la denigrazione pubblica dello straniero. Straniero che non conoscono ma che lavora anche per l'Italia tutta e per questa persona che vota Lega”. Educazione e rispetto. In poco tempo, tante le telefonate, dall'Italia e dal Senegal, sono tutti senegalesi che mi ringraziano per l'iniziativa. Tra le tante mail ricevute, la più bella, quella di un ragazzo senegalese emigrato in Italia che mi scrive: “Grazie Chiara. Grazie per il tuo gesto. Quando ho saputo dell'uccisione dei due miei connazionali ho odiato gli italiani tutti, poi ti ho visto chiedere scusa ai passanti in un servizio di una TV senegalese. Mi si è aperto il cuore. La rabbia si è trasformata in gioia. Gioia nel vedere che esistono sempre le eccezioni e che, ogni generalizzazione, specie quelle guidate dalla rabbia, sono sbagliate”. Ciò che è accaduto a Firenze è un atto grave. Aly Baba Faye, sociologo senegalese residente in Italia ha detto a proposito: “Un folle di etrema destra che apre il fuoco su degli immigrati è la mano armata di un pensiero collettivo alimentato in anni”. Un atto su cui meditare affinché i numerosi razzismi che si stanno diffendendo in Italia non debbano più avere terreno fertile. Serve allora il coraggio dell'onestà, l'audacia dell'analisi sociale, l'umiltà di dire che ognuno di noi ha le proprie colpe se oggi siamo arrivati a questo perché i razzisti peggiori non sono quelli dichiarati ma quelli che, dichiarandosi assolutamente non razzisti, affermano a tavola: “in effetti ci sono troppi stranieri e a noi non resta più lavoro; quelli che no, non sono razzisti ma riempiono di botte la figlia perché ama un marocchino; che portano la figlia minorenne ad abortire perché il padre è un “albanese violento”; che no, non è per niente razzista ma che: “Firenze? C'era da aspettarselo, le persone sono stanche”. Sì, non siamo tutti uguali, questo è vero ma ci sono troppe persone oggi, in Italia, che la pensano allo stesso modo. Gesto di un folle? A questa risposta lava coscienze rispondo con la frase di un'amica, Ilaria Aimone che così scrive sul mio profilo Facebook: “un sociologo che si ferma alla diagnosi della pazzia davanti a fenomeni sociali deviati, devianti e pericolosi è come un medico che prescrive solo aspirina per curare qualsiasi patologia”.


Nella foto: il mercato di Sandaga (Dakar). La foto l'ho presa da qui