Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

sabato 6 febbraio 2010

La “chiesa di Bosco Minniti”, Siracusa, da oltre 10 anni assiste, sostiene e accoglie tutti i migranti in cammino, anche quelli fuggiti da Rosarno verso il Sud

Padre Carlo, guida della chiesa di Siracusa che da oltre 10 anni sta accanto ad immigrati e poveri, critica l’operato di Maroni e del governo sul caso Rosarno, mentre i migranti suoi ospiti si augurano che l’Italia diventi più umana
IL “GOVERNO GENDARME” CHE PUNISCE I MIGRANTI
Da Rosarno a Siracusa, un tragitto per molti iniziato con le auto di MSF (che li hanno accompagnati a Villa San Giovanni) e poi proseguito in treno verso l’estremo Sud siciliano. Destinazione: la parrocchia Maria Madre della Chiesa, meglio conosciuta come la “chiesa di Bosco Minniti”, quella che da oltre 10 anni assiste, sostiene e accoglie volontariamente tutti i migranti in cammino verso il loro futuro e tutti quei poveri, quegli uomini che la nostra società ha dimenticato, costretto in un angolo buio chiamato emarginazione. Sono circa trenta i migranti provenienti da Rosarno, alcuni conoscevano già molto bene la parrocchia, guidata da quel prete che si definisce “normale”, rifiutando l’etichetta di “coraggioso” o di “frontiera”, perché sostiene che un sacerdote, un uomo che segue il messaggio di Cristo non può fare altro che stare con chi, oggi, ne è l’incarnazione, e accoglierlo, offrirgli gratuitamente riparo. Per questo motivo, padre Carlo D’Antoni rifiuta il concetto di anormalità, di specialità della sua azione, reputando anzi anormali quei sacerdoti, quegli uomini di chiesa, quei cattolici che si comportano diversamente. I locali della parrocchia, all’arrivo di chi è fuggito dal linciaggio di Rosarno, si trasformano subito: in fondo alla navata centrale, laddove una volta c’era l’altare e, fino a qualche settimana fa, il presepe in cui Cristo veniva fatto nascere in una discarica, spuntano subito i tavoli e le sedie per il pranzo, preparato dai volontari immigrati che vivono in parrocchia e collaborano con gli altri volontari alla gestione della casa e del dormitorio.

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utti insieme mangiano e poi sparecchiano e puliscono: in mezz’ora è tutto sistemato e ordinato. Questo è lo spirito, uno spirito di collaborazione e di amicizia, fratellanza, solidarietà. È l’occasione per parlare un po’, per farsi raccontare il dramma vissuto a Rosarno, ma anche per comprendere la situazione politica, discutere della reazione del governo e delle parole di Maroni. Adam, ad esempio, parla dei rosarnesi, ma è chiaro che il suo discorso riguarda tutti gli italiani: “Non capiscono che noi africani siamo qui in Italia per lavorare e per cambiare la nostra vita, che abbiamo lasciato l’Africa perché lì le cose non vanno bene. Molti di noi sono dovuti andare via per ragioni politiche. Io, ad esempio, avevo problemi politici in patria. Quando poi arrivi qui e trovi questa violenza nei nostri confronti è difficile vivere”. Un ragazzo del Gambia invece commenta le parole di Maroni sulla “troppa tolleranza” e respinge l’idea del ministro leghista secondo cui le colpe sono dei ‘clandestini’: “Il governo dà la colpa a noi, perché siamo venuti qui, però se guardi bene la colpa non è dei migranti. Siamo sfruttati e umiliati, trattati come schiavi, come esseri inferiori. Credo, invece, che noi esseri umani siamo tutti uguali e nessuno può arrogarsi il diritto di fermarci per strada e aggredirci o spararci. Non è giusto. Non è umano. La colpa non è degli stranieri”.
Ibrahim invece parla dell’Italia, racconta che in Italia ha “incontrato tanta gente buona e tanta gente cattiva” e si augura per il nostro Paese “che la gente cattiva diventi meno di quella buona”. E la paura? Si discute anche di quella, del fatto cioè che gli africani non hanno avuto paura di scendere in piazza in una terra controllata dalla ‘ndrangheta e del fatto che forse questa assenza di paura potrà essere d’esempio agli italiani nella lotta per sconfiggere la mafia: “Abbiamo già attraversato i posti più pericolosi, adesso siamo arrivati qui e non possiamo più avere paura. Possiamo avere rispetto per chi ci rispetta, ma non paura. È possibile battere la mafia, ma sarà una lotta dura e difficile”. Quando chiedo a padre Carlo la sua impressione sui fatti di Rosarno, egli mi risponde di non essere meravigliato da quanto accaduto, perché si tratta di una situazione che cova da tempo e che prima o poi doveva esplodere. Situazione che riguarda molte aree del Paese e che, secondo il sacerdote, dipende da due fattori: “Innanzitutto esiste un problema di sistema, in cui è certo che la politica deve tornare a svolgere la sua funzione. Visto che viviamo nell’era della globalizzazione, dovremmo adottare strategie e politiche di dimensione sovranazionale. Siamo in un sistema davvero capitalistico che schiaccia le persone e l’ambiente, la natura, per sottometterli ai propri meccanismi. E dunque la politica dovrebbe intervenire in modo globale. C’è una ideologia del capitalismo che avanza, irrefrenabile, e considera uomini e ambiente in termini funzionali. Tutto ciò che non è funzionale va estirpato, eliminato. Il secondo fattore è la patologia di una realtà meridionale a cui non si vuole mettere mano. La questione meridionale si amplifica sempre di più e abbiamo una società meridionale che è totalmente dominata dalle cosche mafiose e che non riesce a riprendersi. Anche perché nessuno interviene mai concretamente su questo aspetto. Non si fa nulla per andare al fondo della questione”.

Padre Carlo è irritato dalla reazione di Maroni e del governo, totalmente insensibili al dramma dei migranti: “Il ministro Maroni ha commentato i fatti di Rosarno dicendo che sono la conseguenza della troppa tolleranza nei confronti dei ‘clandestini’ e che adesso ci penserà lui a rimettere le cose a posto. Parole normali per un politico amorale imbarcato sulla nave di un governo che tiene ben distinte le esigenze del potere da quelle dell’etica. Non dimentichiamoci che anche la Gelmini fa la sua parte stabilendo la quota del 30% di studenti stranieri per ogni classe. E purtroppo se questa nave naviga è perché il mare che solca è un mare piatto, inquinato, in catalessi. Sì, perché la maggioranza degli italiani è con Maroni. La maggioranza degli italiani si sente turbata di fronte a questi schiavi che osano protestare e parlare di diritti. Il presidente della Regione Calabria, Loiero, si è detto comprensivo per la situazione dei migranti, però ha condannato il loro modo di protestare, esprimendo solidarietà alla ‘povera gente innocente di Rosarno’. Brava gente i rosarnesi, capaci di sacrificio e di soffrire in silenzio le angherie della ndrangheta! Ed è normale che sia così: c’è infatti chi nasce per comandare e ammazzare e chi nasce cornuto e ‘mazziato’. Lascia esterrefatti la reazione che il governo ha avuto davanti a questi fatti. L’esecutivo, nella persona del ministro Maroni, si pone come un gendarme. Questa è l’abdicazione della politica”.


Una politica che, secondo il prete siracusano, inquadra fenomeni come quello dell’immigrazione in termini di “ordine sociale e in termini di sicurezza”, senza andare in profondità, senza intervenire sul piano culturale, economico, sociale, umano: “L’atteggiamento duro di Maroni va assolutamente combattuto. Se il ministro dell’Interno mi parla di legalità e di ripristino della legalità davanti all’attuale calma a Rosarno, allora vuol dire che fa, consapevolmente o inconsapevolmente, il gioco della ‘ndrangheta, poiché l’attuale calma a Rosarno significa che quella città sia tornata esattamente come prima, sotto il dominio, il controllo, l’amministrazione della ‘ndrangheta. Il fatto che si usi la forza contro i migranti, con le promesse espulsioni e il gesto simbolico della demolizione dei luoghi dello sfruttamento e della miseria, cancellando ciò che gli immigrati hanno patito, mostra che a Rosarno siano rimasti solo le ‘ndrine e i topi contro cui nessuno fa nulla. Ed è inaccettabile il fatto che si parli di legalità in questi termini. La criminalità ha trovato un’ottima sponda nel governo gendarme. E noi dobbiamo assistere a questi matrimoni incestuosi tra criminalità organizzata e governo, a tutti i livelli”.

Proprio sulla legalità, padre Carlo concentra il suo ragionamento: “Io sto con i dimostranti di Rosarno. Io sto con i ‘clandestini’. Mi fanno schifo e pena quelli che esigono legalità solo quando essa diventa una pala meccanica per seppellire chi ha osato mostrarsi un uomo e riportare così tutto all’illegalità trionfante di prima, con buona pace del popolo bue che può tornare a farsi sottomettere da chi è nato per essere padrone di uomini e cose. In Calabria, in Campania, in Sicilia. Ovunque”.
E la realtà meridionale, il tipo di società che la caratterizza ha un ruolo centrale, fondamentale, che influenza la cultura, il progresso economico e civile: “Non si vuole vedere - afferma padre D’Antoni - che il Meridione è una società basata sulla pax mafiosa, in cui c’è la normalità del lavoro nero, in cui non ci sono regole e si accetta tutto. Non può funzionare un palazzo alle cui fondamenta c’è questo schifo di società. Qui al Sud ci sono persone vere, gli immigrati sono persone vere e quindi è normale che quando si subisce e si viene sfruttati poi si reagisce, esplode la protesta, una protesta di fronte a cui l’unica risposta, al di là della vergognosa caccia all’uomo, è lo stupore ipocrita di chi non se lo aspettava”.

Ma c’è qualcosa che, oltre al servilismo dei mass media “di regime, nella misura in cui non riescono a far emergere un punto di vista differente da quello di chi comanda”, ha particolarmente irritato e indignato padre Carlo: “È deprimente che nessuno si opponga a questo sistema marcio, né i sindacati, né le parrocchie, né le associazioni. Ma la cosa peggiore è stata l’organizzazione postuma di manifestazioni con rosarnesi e migranti mano nella mano, in modo da veicolare l’immagine di “brava gente”, come a dire che quei fatti di violenza contro i neri sono stati un caso, un episodio, una scintilla, ma che normalmente non è così, normalmente siamo tutti buoni”.

Infine una speranza, affidata proprio ai migranti: “Spero tanto che gli immigrati, questa gente non ancora italiana (ma lo diventerà perché la Storia non la si può fermare), ci trasfondano un po’ di lineamenti umani, un po’ di gioia di vivere, un po’ di speranza. E mai gliene saremo grati abbastanza”.




Fonte: Massimiliano Perna - ilmegafono.org

 
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